24 settembre 2012

Skin - Sixx A. M.

Sei meglio di ciò che pensi, mi scrisse un giorno una mia amica, Elisa, in bacheca su facciadibuco.
Forse dovrei spiegare cosa penso di me per farvi capire che significato potessero assumere quelle parole per la sottoscritta, ma sarebbe alquanto complesso e disastroso, nonché controproducente per me che potrei ricominciare a pensare ben poche carinerie sul mio conto.
Diciamo così: se mi passasse un autobus sopra la testa e mi impedisse di vedere il sorgere del sole per il resto dei miei giorni, non credo che mi sentirei tanto male, ecco. Intendo dire: sarebbe un guadagno per l'intera umanità, almeno secondo il mio punto di vista - personalissimo. (Se chiedeste ai miei tre amici che mi ritrovo o al mio ragazzo probabilmente non esiterebbero a dirvi il contrario. Ma loro sono quasi obbligati a dirlo.)
In quel periodo, comunque, ero nel pieno vuoto più assoluto totale. Credo di essermi sentita così male poche volte in vita mia, ero proprio una persona... apatica, ecco. Mi avevano fatto così tanto male che mi ero convinta che non potessi più sentire nulla, nemmeno una voce innocua, nemmeno il tocco di una persona. Mi disgustava tutto quanto, desideravo silenzio e vuoto, desideravo restare da sola e vivere la mia vita separata dal resto del mondo con un velo. E questo mio desiderio mi faceva male, perché mi rendevo benissimo conto che era del tutto errato: ero orribile. Allontanavo tutti, anche chi mi si avvicinava con le migliori intenzioni.
Beh, da allora sono molto migliorata, se volete saperlo.
Ma all'epoca ero indifferente alla vita: mi avevano fatto credere di non essere importante né di grande valore, e avevo deciso - inconsapevolmente - di dar retta a quelle voci. 
Elisa sapeva bene quanto male pensassi di me stessa, quanto veleno avessi lasciato scorrere dentro di me, e con quella frase cercava di farmi cambiare idea, una volta per tutte, e farmi credere che non fosse esattamente come temevo. Dopo avermi scritto quelle parole - a cui, tanto per amor della cronaca, risposi: "Lo spero tanto." - mi linkò un video YouTube con una canzone. Era Skin dei Sixx A. M.
I Sixx A.M. sono un progetto b-side del bassista dei Motley Crue, Nikki Sixx, che spero conosciate dato che ha collaborato con artisti come i Sex Pistols o Alice Cooper.
Quella canzone è tremenda per dirti di credere in te stesso, di non ascoltare ciò che dicono gli altri. Alcune frasi ne sono un esempio allarmante: « Come into focus / step out of the shadows / it's a losing battle / there's no need to be ashamed » oppure « Just rise above this / kill them with your kindness / ignorance is blindness / they're the ones that stand to lose » * per non parlare del ritornello.
Un inno al coraggio, alla voglia di essere se stessi e di non preoccuparsi del giudizio altrui, un incoraggiamento a vedere di non essere la propria pelle, that you are not your skin.
Da quel giorno mi convinsi personalmente che ero qualcosa di diverso dalla pelle che mostravo: non potevano le persone che mi erano accanto pretendere di giudicarmi senza conoscermi, perché non sapevano nemmeno un centesimo della vita che avevo vissuto.
Mi rendo conto, ora, di come queste canzoni che sto scegliendo siano intrise di significati "anti-depressive" per me, un modo per sollevarmi il morale quando sono giù; non significa che non conosca anche canzoni più allegre, sia chiaro. Solo che l'arte è, tra tutto, anche un modo per tenere compagnia anche a quelle ragazze come me che arrivano alla sociopatia in determinati momenti dell'anno.

* Metti a fuoco / esci dalle ombre / è una battaglia persa / non c'è motivo di vergognarsi.
   Elevati in alto a questo / uccidili con la tua gentilezza / l'ignoranza è cecità / loro sono i soli che stanno perdendo.



▪ Skin, Sixx A. M.

Dall'album This is gonna hurt, 2011.
Non abituatevi a brani così recenti, sono abbastanza rari nel mio repertorio fuck-yeah.

23 settembre 2012

Coming back to life - Pink Floyd

Quando la mia migliore amica mi presentò quello che sarebbe di lì a poco diventato il suo ragazzo, ero particolarmente curiosa. Non avevo la più pallida idea di chi fosse e, considerata la mia indole prettamente invadente, non vedevo l'ora di poter vedere com'era fatto questo fantomatico uomo. Già sapevo che era un amante della lettura, quindi sicuramente qualche punto ce l'aveva, ma chi mi garantiva che non fosse un pazzo psicopatico psicolabile e psicoqualcos'altro? Dovevo accertarmi di che gente frequentasse Anna Maria, no?
L'incontro avvenne in una libreria poco distante da casa nostra. Per quasi tutto il tempo io mi persi a leggere titoli di copertine varie, trame, a desiderare quei volumi che ancora non ero riuscita a fare miei - ma era solo questione di tempo, eh. Insomma, quel povero ragazzo lo ignorai quasi completamente: per quel che avevo visto era gentile, un po' riservato, carino, bassetto. Ma aver intorno quintali di libri non mi aiutava di certo a volerlo conoscere meglio.
Quando arrivammo alla piccola sezione dedicata alla musica, mi fermai a contemplare un vinile dei Led Zeppelin. Ho una passione sconsiderata per i vinili, sebbene io non ne abbia mai comprato né sentito uno, mi affascinano da morire (appena potrò permettermi ingenti spese senza genitori sulle spalle provvederò all'acquisto di tutto ciò che vorrei ma non posso avere). Comunque, guardavo la copertina e canticchiavo Stairway to heaven, con gli occhi che brillavano e l'amore per loro che usciva da ogni poro, com'era giusto che fosse. Non mi ero accorta che accanto a me anche lui si era fermato. Appena me ne resi conto, spalancai gli occhi e d'improvviso seppi che Anna Maria aveva trovato qualcuno di giusto. Almeno in fatto di musica, s'intende.
Ci fermammo a mangiare in un piccolo bar della libreria, chiacchierando un po' di ogni cosa. Mi mostrai finalmente interessata e riuscii a portare il discorso per gran parte del tempo sui gusti musicali che il ragazzo aveva. (Ah, per l'inciso, il tale ragazzo ha un nome: Stefano. Non è che non me lo ricordi, eh.)
Lì mi disse per la prima volta che era un appassionato-ossessionato-maniaco dei Pink Floyd. Non avrei mai immaginato che quello sarebbe stato l'inizio di un grande e lungo ascolto di quel gruppo: ogni volta che andavamo (e, beh, che andiamo!) nella sua macchina, partiva The Wall a ripetizione. All'inizio volevo quasi ucciderlo, perché Comfortably numb in ventitré versioni diverse non la volevo più ascoltare.
Sia chiaro: a me i Pink Floyd piacciono. Mi sono sempre piaciuti. Prima dell'incontro con Stefano non li conoscevo benissimo, dico sul serio; avevo "solo" un amore inesprimibile per l'assolo di chitarra di Another brick in the wall e un'affezione particolare per Wish you were here, Shine on you crazy diamond e Learning to fly. Ne conoscevo altre, sia chiaro, ma non è che mi facesse molta differenza. Li avevo sempre ritenuti un po' troppo lenti, un po' troppo calmi e pacati per le mie orecchie da rockettara fuck-yeah. (Da allora sono cambiate molte cose. Diciamo che non sogno più di andare in giro borchiata e con la faccia enorme di Sid Vicious nella maglietta.)
Comunque.
Quando due mesi dopo Anna Maria compì gli anni, io e Stefano andammo in giro spesso per organizzarle la festa di compleanno. Durante uno dei nostri sopralluoghi nel centro, ricevetti una telefonata che mi fece scoppiare a piangere davanti a lui, qualcosa di cui vado ben poco fiera, lo ammetto. Fu comprensivo e mi diede la possibilità di sfogarmi: gli rivelai quanto tenessi ad una persona che invece si stava comportando malissimo nei miei confronti e di quanto, in quel momento, mi sentissi sola, perché ci avevo passato insieme tre anni della mia vita e non riuscivo a contemplare l'idea di poter "andare avanti" da sola.
Quando tornai a casa mi mandò un messaggio, per chiedermi come stessi. Allegò alla fine un consiglio: ascoltare Coming back to life dei Pink Floyd e apprezzarne il testo.
« I knew the moment had arrived / for killing the past / and coming back to life » * cantavano orgogliosamente. Inutile dire che cominciai ad ascoltarla all'infinito, quasi come se ne andasse del mio stesso respiro, della mia stessa vita.
Non posso dire che sia la loro migliore canzone - né voglio: continuo ad amare troppo Another brick in the wall - ma sicuramente è quella a cui mi sono più legata, personalmente. Io, da sola: ho cominciato persino ad esserne gelosa. Credo che sia mia, che me l'abbiano regalata per spronarmi ad andare avanti. (Anche se alla fine non l'ho fatto, ehm ehm.) Sono affezionata anche a Wish you were here, che è la canzone che ho con una delle tre persone più importanti della mia vita (baka, se leggi, per te ), per dire, ma non è solo mia, ecco.
Ci sono tantissime altre canzoni che mi hanno spronato ad andare avanti nella mia vita, ma questa è singolare. Forse perché sembra proprio azzeccata, perché quelle prime tre domande mi hanno fatto aprire gli occhi e perché, ogni volta che la sento, mi salgono le lacrime al pensiero che per tornare alla vita devo uccidere il passato.
Mi ha fatto sinceramente riflettere. Un testo del genere poche canzoni possono vantarlo - gli stessi Pink Floyd hanno replicato la poesia solo con Marooned (che testo, eh?). Ha la capacità di svegliarti, ecco. Ma non svegliarti nel senso di spaccarti la testa con la batteria e un assolo velocissimo, no: ti sveglia con le parole, con le note lente della chitarra che ti arrivano e ti scuotono, ti fanno vibrare intensamente, ti fanno ricordare e anche piangere molte volte.
Perciò ringrazio di cuore Stefano per avermi fatto capire che tornare alla vita è necessario, anche quando fa sempre male. Ma non mettermi più Comfortably numb perché potrei veramente fare a pezzi te e il tuo stereo, per quanto bella sia la canzone.

* Sapevo che il momento era arrivato / per uccidere il passato / e ritornare alla vita.


Coming back to life, Pink Floyd.
Dall'album The division bell, 1994. Consiglio l'ascolto di Marooned, come ho già citato, Lost for words, High hopes e, perché no?, Keep talking. Stefano direbbe di ascoltarlo tutto, ma le altre canzoni ammetto di non conoscerle, quindi vi consiglio piuttosto di dedicare la vostra attenzione a tutto l'album The wall. Quello sì che è IL Capolavoro.

Ho citato anche:
- Stairway to heaven, Led Zeppelin, da Led Zeppelin IV, 1971.
- Comfortably numb, Pink Floyd, da The wall, 1979.
- Another brick in the wall, Pink Floyd, da The wall, 1979.
- Wish you were here, Pink Floyd, da Wish you were here, 1975.
- Shine on you crazy diamond, Pink Floyd, da Wish you were here, 1975.
- Learning to fly, Pink Floyd, da A momentary lapse of reason, 1987.
- Marooned, Pink Floyd, da The division bell, 1994.

22 settembre 2012

My guitar lies bleeding in my arms - Bon Jovi.

Pensando ad una canzone dei Bon Jovi che mi potesse veramente rappresentare e piacere in ogni momento, mi sono inizialmente sorpresa a scegliere My guitar lies bleeding in my arms.
L'ho conosciuta grazie ad un'amica; ci stavamo appassionando entrambe dei Bon Jovi all'epoca. Eravamo convinte di poter cambiare il mondo solo dicendo a tutti quelli che conoscevamo che i Bon Jovi erano un gruppo, e non solo Jon - per quanto potesse attizzare come uomo (e lo possa fare ancora adesso), non eravamo per nulla contente che tutto il merito fosse affidato ancora a lui - come credevano tutti, e che c'erano canzoni ben più meritevoli della solita It's my life. Solo con il passare del tempo abbiamo capito che c'erano tante altre eresie musicali che dovevamo incontrare e sfatare. (Come ad esempio chi ci chiedeva quale fosse il nostro album preferito dei Sex Pistols. Devo ancora riprendermi da quella domanda.)
Comunque, una volta setacciato l'intero web alla ricerca di ogni canzone possibile e immaginabile, ancora non avevo capito quale potesse essere la mia canzone preferita del gruppo. A volte ho ancora dei dubbi in proposito, anche se credo di averla individuata, almeno per un periodo, in You give love a bad name, e ora sono troppo pigra per ripensarci e cambiare idea. Quindi, se mi chiedete qual è la canzone più bella dei Bon Jovi vi risponderei ancora quella, anche se sicuramente dentro di me comincerebbero a fiondarsi una lista infinita di titoli e dovrei mordermi la lingua per non cominciare a elencarli tutti. Forse vi conviene semplicemente non chiedermelo, ecco, così possiamo evitare che voi vi addormentiate o vi tagliate le vene nella speranza che un buco nero inghiottisca me e la mia parlantina inutile.
Alla ricerca della mia canzone preferita, perciò, chiesi a questa ragazza quale fosse la sua, e lei mi rispose con My guitar lies bleeding in my arms. Appena la nominò mi resi conto di non averla ascoltata prima; These days era sicuramente un bell'album, ma l'avevo tralasciato per dedicarmi ai primi lavori dei Bon Jovi, di cui mi piaceva in particolar modo la grinta. In quel periodo ascoltavo solo la musica che fosse abbastanza forte e veloce da farmi urlare cantando e non permettermi di pensare, diciamo.
Andai quindi a sentirla. Non era esattamente un bel periodo per me: avevo litigato con la persona più importante della mia vita, non mi sentivo esattamente all'apice del mio umore. Quindi, quando ascoltai per quella prima volta My guitar lies bleeding in my arms, venni sopraffatta da una marea di ricordi in subbuglio, di emozioni che cercavo di ignorare. Il vuoto che esprime il testo e la musica di questa canzone - o meglio, il vuoto che secondo me esprimono, perché può darsi che a ognuno venga in mente qualcosa di diverso ascoltandola; non ho la presunzione di conoscere la verità assoluta di ciò che volesse dire Richie Sambora scrivendola - era esattamente uguale alla voragine che stava prendendo possesso della mia vita.
Da quel giorno, quelle parole, quelle note, cominciarono a ripetersi in continuazione nella mia testa. Ma non in modo tale da diventare la mia canzone preferita, quanto piuttosto un dolce e cupo lamento che voleva cercare di farmi compagnia, e con quel  « maybe tomorrow / I'll feel a different way / but here in my delusion / I don't know what to say » * sembrava dirmi che avevo tutto il diritto di sentirmi un po' spaesata e senza parole, e allo stesso tempo mi infondeva un barlume (seppur piccolo) di speranza: forse sarebbe andata meglio, il giorno dopo.
Così, per quanto io mi sforzi di pensare a qualcosa di più gratificante e allegro, credo che niente mi possa far sentire a casa come questa canzone. Quando sono triste, lei c'è a ricordarmi che il vuoto esiste e non sono sbagliata perché non sento niente, o perché non riesco a tirare fuori parole d'amore. E, per quanto io possa sentire la disperazione di quei versi preoccupante, o pesante, rimangono dolci compagni con cui posso sempre essere me stessa e permettermi di essere vuota.
Per questo scelgo My guitar lies bleeding in my arms: canzoni che rivendicano il proprio amore, che esprimono dolore o vendetta o tristezza o disperazione o gioia o felicità  o qualsiasi altro sentimento esistente a questo mondo sono ovunque. Ma che esprimono così bene il vuoto... beh, per me c'è solo lei.

*  «  Forse domani / mi sentirò diversamente / ma qui nella mia delusione / non so cosa dire ».



▪ My guitar lies bleeding in my arms, Bon Jovi.

Dall'album These days, 1995. E' tutto da ascoltare, ogni traccia: sono canzoni veramente intense, che io personalmente adoro una ad una. Al concerto dell'anno scorso dei Bon Jovi, tenuto a Udine, ero lì che stavo per avere un orgasmo a sentire These days, e credo che se avessero suonato anche le altre canzoni sarei morta sul colpo, perché non ci sono parole per descrivere quanta poesia c'è in questi meravigliosi testi.

Ho citato anche:
- It's my life, Bon Jovi, da Crush, 2002.
-You give love a bad name, Bon Jovi, da Slippery when wet, 1986.